Programma musicale a B.go S.Lorenzo
Alcune serate di musica in Sant’Omobono ad ascoltare il Parroco don Maurizio Tagliaferri.
Con la preghiera di massima diffusione
FESTIVAL PASSAGGI
2015
Oratorio di Sant’Omobono
Borgo San Lorenzo
Sponsor: Banca del Mugello
Patrocinio: Comune di Borgo San Lorenzo
Parrocchia di Borgo San Lorenzo
Le Suites di Bach²
Giovedì 7 Maggio
Fuga di Cervelli
Mercoledì 13 Maggio
Schulhoff & Zemlinsky
Giovedì 21 Maggio
Mors et Resurrectio
Mercoledì 3 Giugno
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Per l’ottavo anno consecutivo l’Associazione Giotto in Musica presente una serie di concerti di musica classica nel Mugello.
Quest’anno un ricco programma di concerto allieterà il pubblico nella splendida cornice dell’Oratorio di Sant’Omobono, di fronte alla Pieve di Borgo San Lorenzo; quattro concerti che spaziano dal barocco alla musica del Novecento, passando dalle splendide sonate per violino di Beethoven eseguite per l’occasione dal pievano Don Maurizio.
Sul podio si alterneranno, tra gli altri, l’Ensemble Alraune, membri del Quartetto Euphoria, musicisti dell’Orchestra della Toscana e i cantanti Jacopo Facchini e Carla Babelegoto.
I concerti cominceranno alle 21.15 e saranno ad ingresso gratuito.
Un’offerta per il restauro dell’Organo barocco Stefanini collocato presso la Pieve di San Lorenzo é benvenuta.
Le Suite di Bach (2)
Giovedì 7 Maggio ore 21:15 – Oratorio di Sant’Omobono
Ingresso gratuito
“Bach è l’inizio e la fine di tutta la musica” [Max Reger]
Dopo il concerto del Festival Passaggi 2014 continua il ciclo di concerti a Borgo San Lorenzo per scoprire tutte le Suites di Bach.
Concepite nella classica tipologia della suite (a differenza delle Suites per violino solo che introducono danze desuete come la Borea): Preludio, Allemanda, Corrente, Sarabanda e Giga nella stessa tonalità, aggiungendo dopo la Sarabanda una coppia di danze, nella stessa tonalità e nella omologa di modo diverso, Minuetti nella I° e II° Suite, Buorrées nella III° e IV° e Gavotte nella V° e VI°, in esse contrasta il piano formale così tradizionale rispetto all’originalità di comporre musica, per uno strumento essenzialmente monodico, nell’epoca del basso continuo.
In questo forse si avverte la necessità in Bach di muoversi su di un terreno codificato, nell’accingersi a comporre per uno strumento di cui forse non aveva esperienza diretta, musica così elaborata. D’altra parte anche la progressiva elaborazione tecnica si evidenzia dalla I° più semplice Suite alla VI°; infatti mentre le prime quattro suite prevedono l’accordatura normale, la V° richiede l’abbassamento di un tono della prima corda, (da LA a SOL) per facilitare l’esecuzione di accordi in DOm, dato che il SOL appartiene sia alla armonia di tonica che di quella di dominante, (a tale proposito si ricorda che all’epoca di Bach non era ancora in uso il capotasto) e la VI° richiede un violoncello a sei corde, con una corda in più nell’acuto (MI) per aumentare l’estensione dello strumento.
Augusto Gasbarri, violoncello
Fuga di Cervelli (nell’Italia del Settecento)
Mercoledì 13 Maggio ore 21:15 – Oratorio di Sant’Omobono
Ingresso gratuito
Ognuno di noi ha di fronte un orizzonte, che i confini non possono fermare.
Alessandro Scarlatti (1660-1725): Concerto in La minore per flauto
Giovanni Bononcini (1670-1747): Duetto “Luci barbare spietate”
George Friderich Handel: Cantata “Figlio d’alte speranze” HWV 113
George Friederich Handel (1685-1759): Cantata a due “Amarilli vezzosa” detta ‘Il duello amoroso’, HWV82
Antonio Vivaldi (1678-1741): Cantata “Pianti, sospiri e dimandar mercede”
Agostino Steffani (1655-1728): Sonata da Camera n.2 a tre con basso continuo
L’Italia è stata più volte una terra da cui si emigrava per trovare maggiore fortuna.
La più famosa e ricordata emigrazione dall’Italia è quella avvenuta tra la fine dell’Ottocento e la Seconda Guerra Mondiale, quando a causa della pressione demografica 14 milioni di italiani cercarono fortuna in America, sia al Sud che al Nord.
Ma pure nel Dopoguerra l’Italia conobbe una fuga di lavoratori verso altri paesi europei, prevalentemente Svizzera e Germania.
Nella seconda decade del nostro secolo nuovamente giovani italiani, stavolta per lo più altamente qualificati e con livello di studio prevalentemente universitario, stanno riversandosi verso altri paesi, come Germania, Inghilterra, Spagna, Brasile.
Ma anche dopo il Rinascimento, quando la scoperta dell’America e la possibilità della circumnavigazione rese il Mar Mediterraneo e i paesi confinanti meno strategici dal punto di vista commerciale, l’Italia vide un lento e progressivo impoverimento del proprio tessuto sociale. Cosicchè mentre l’Italia rimaneva meta dei giovani (come George Friederich Handel) che volevano imparare il mestiere della musica, artisti e musicisti italiani, richiestissimi all’estero, si mossero per viaggi lunghi, faticosi, avventurosi, per cercare soddisfazioni artistiche e fortuna finanziaria.
In questo concerto vengono presentati alcuni dei compositori che, per periodi più o meno lunghi, risiedettero all’estero. Tra questi compositori non poteva mancare Bononcini, colui che portò a Londra l’Opera Italiana e che, in eterna lotta con Handel, prevalse nettamente sul secondo diventando il compositore più stimato all’epoca, anche se poi, dopo il suo viaggio a Parigi e Vienna, le nuove mode e tendenze musicali condussero Bononcini ad una povertà assoluta.
ENSEMBLE ALRAUNE
Carla Babelegoto, mezzosoprano
Jacopo Facchini, controtenore
Clarice Curradi, violino
Stefano Zanobini, violino
Hildegard Kuen, viola
Augusto Gasbarri, violoncello
Giulia Breschi, flauto, fagotto e controfagotto
Mario Sollazzo, cembalo
Jadran Duncumb, tiorba e liuto
Schulhoff & Zemlinsky
Giovedì 21 Maggio ore 21:15 – Oratorio di Sant’Omobono
Ingresso gratuito
“L’Arte è l’espressione della nostalgia umana” [Erwin Schulhoff]
Alexander Zemlinsky: Quintetti
Erwin Schulhoff: 5 pezzi per Quartetto
Erwin Schulhoff: Sonata per viola Sola
Alexander Zemlinsky fu un compositore austriaco diplomatosi al conservatorio di Vienna. Fu legato da una lunga amicizia con il musicista Arnold Schönberg, lì conosciuto, grande ammiratore dei suoi lavori. Divenne direttore d’orchestra dell’Opera di stato di Praga.
Considerato l’erede musicale di Gustav Mahler e di Richard Strauss, ebbe anche una lunga infatuazione per Alma Mahler Schindler prima che questa divenisse moglie del grande musicista boemo. Nonostante la grande amicizia con Arnold Schönberg e con gli altri musicisti viennesi venne sostanzialmente poco contagiato dalla dodecafonia. Oltre al lavoro di musicista, Zemlinsky si occupò in maniera moderna di pedagogia. A lui si devono poemi musicali composti su lavori di Christian Morgenstern, di Maurice Maeterlinck di Rabindranath Tagore e di Wilde.
Il suo impegno in mezzo alla musica viennese negli anni d’oro della Felix Austria, è a tutt’oggi largamente sottostimato, un po’ come successe agli inizi per l’amico Gustav Mahler, entrambi riscoperti (il secondo in maniera completa) dopo gli anni 60 del secolo scorso.
Così scrisse Sergio Sablich in un articolo apparso su “Il Giornale” del 12 Giugno 1992 dal titolo “Zemlinsky, il mascalzone”:
«Sprizza talento da ogni poro», aveva detto di lui Johannes Brahms quando lo aveva conosciuto giovanissimo, ancor prima di accoglierlo nel 1893 nell’Associazione dei compositori viennesi, di cui era presidente onorario. E sul talento, usando quasi le stesse parole, aveva insistito anche il suo maestro di composizione Johann Nepomuk Fuchs, eminente depositario della tradizione classica. Talento e civiltà viennese sembravano i tratti destinati a fare di Zemlinsky un protagonista nel segno della continuità, un anello di congiunzione in un’epoca che non recava ancora i segni imminenti dell’apocalisse. E in un certo senso egli lo fu, almeno all’inizio. Nel 1895 Zemlinsky conobbe Arnold Schönberg: il quale divenne suo allievo e poi ne sposò la sorella, Mathilde. Con lui partecipò attivamente, prima come pianista poi come direttore d’orchestra, alla diffusione delle musiche dei compositori che con etichetta ormai sbiadita vennero poi definiti della seconda scuola di Vienna. Non ve n’era stata una prima, non ve ne fu una seconda: di cui semmai il fulcro, finché vi rimase, fu Gustav Mahler, anch’egli ammiratore e collaboratore di Zemlinsky, nonostante la penosa storia dei loro contrasti a causa di Alma Schindler, di cui Zemlinsky si era pazzamente innamorato. Non riusci a legarla a sé, e si limitò a farle da maestro in molti campi, instillandole subdolamente la convinzione di valere come compositrice anche piú del futuro consorte. Il musicologo Egon Wellesz lo ricorda come un uomo di repellente bruttezza ma incredibilmente affascinante, estroso, intrigante e cinico. A qualcuno sembrava che il carattere viennese tendesse a prendere pericolosamente il sopravvento sul talento piú genuino, da cui ben presto fermentarono frutti copiosi, agrodolci.
Il resto della carriera di Zemlinsky si svolse lontano dalla capitale, prima a Praga, meta storica dei fuggiaschi da Vienna, come Kapellmeister del Deutsches Landestheater, poi a Berlino, dove Otto Klemperer lo invitò nel 1927 come collega alla Krolloper e dove rivaleggiò con il coetaneo Leo Blech e con i piú giovani George Szell ed Erich Kleiber. Una testimonianza di Stravinski lo celebra come il piú bravo di tutti, ma forse perché era il piú solerte a eseguire i suoi pezzi. Non è comunque il solo a confermare le spiccate qualità di Zemlinsky nella direzione d’orchestra; come nell’insegnamento, che fu per tutta la sua vita non un ripiego ma una dimostrazione di forza: un grande interprete anche secondo Strauss e un didatta brillante, influenzato da queste doti anche nella vena eclettica delle sue composizioni.
A Vienna ritornò nel 1933, e probabilmente dovette scoprire che del suo mondo di un tempo erano rimaste soltanto le apparenze. Alban Berg non lo trovò cambiato, per lui rimaneva «un colossale mascalzone»: ciò non gli impedì di dedicargli la Suite lirica. Il rientro come direttore a capo di una nuova orchestra sinfonica fondata da Hermann Scherchen avvenne con un programma che comprendeva il Quarto concerto Brandenburghese di Bach, la Musica da concerto per pianoforte, due arpe e ottoni di Hindemith e la Quarta Sinfonia di Brahms: un viaggio alla ricerca di proprie, perdute radici. Seguirono varie peregrinazioni in Europa, dove il suo stile di compositore pareva un compendio di idiomi internazionali già postumi, e la triste fine a New York, lontanissimo ormai perfino dalle memorie delle radici recise. La conclusione di una lettera, che il curatore Otto Biba ha assunto a titolo della mostra, parla di grandezze ideali, di meriti misconosciuti: «Bin ich kein Wiener?», non sono io un viennese, si domanda da ultimo Zemlinsky. Richiamo, forse, a un luogo dell’illusione già da tempo immemorabile non piú felice ma puramente nostalgico e visionario.
L’impressione che si genera all’ascolto delle musiche di Zemlinsky non è soltanto quella di un talento distratto per troppo ammasso di mestiere, riferimenti, ambizioni, esperienze, ma soprattutto condizionato dalla mancanza, di cui scriveva Buscaroli, del «piano e calmo respiro del creatore originale». Zemlinsky promette sempre molto, ma piú di quanto non mantenga all’atto pratico: si ha quasi la sensazione che pur partendo da obbiettivi precisi finisse poi per vivere di riflessi imprevedibilmente cangianti, senza la capacità di trovare valori, neppure sul terreno della modernità, nell’equilibrio della creazione artistica, in bilico tra lo stravolgimento onirico della realtà e il disperato tentativo di una palpitante espressione. La magnifica epigrafe di sé da lui stesso dettata ne è uno specchio fedele, tragico come il tempo che visse: «Ma invecchiando, perciò con giudizio piú pacato, mi sono convinto di una cosa: in ultima analisi ognuno è colpevole del proprio destino, o quanto meno ne è colpevole senza colpa. A me manca sicuramente quel certo che necessario – oggi piú che mai – per farsi strada e arrivare in prima fila. In una tale ressa non basta avere i gomiti, bisogna anche saperli usare. Ma tutte queste sono cose arcinote. Perciò mi rallegro quando mi riesce di lavorare per me stesso, né piú né meno di quelli che lavorano per il successo immediato».
Erwin Schuloff (Praga, 8 giugno 1894 – Weißenburg in Bayern, 18 agosto 1942) fu un compositore e pianista cecoslovacco.
Compositore e pianista tedesco di origine boema, Ervin (o Erwin) Schulhoff è stato fortemente influenzato dalle teorie di Hàba A. (musica per quarti di tono) e dal neoclassicismo, mostrando un vivo interesse anche per il jazz.
Nato da genitori tedeschi di origine ebraica, studiò nel conservatorio di Praga a partire dai 10 anni, grazie alla raccomandazione di Antonín Dvorák, in seguito studiò a Vienna (1904-08), Lipsia (1908-10, con Max Reger), Colonia (1910-14) e prese anche lezioni da Debussy, acquisendo una solidissima formazione musicale. Come pianista riscosse molto successo, soprattutto in Germania, mostrando una versatilità che gli permetteva di essere, allo stesso tempo, un grande interprete dei classici del Novecento, degli autori d’avanguardia e sfoggiare un dotato spirito di improvvisatore di temi jazzistici.
La sua produzione comprende sinfonie (tra le quali la Sinfonia della Libertà, 1940-41), concerti vari, ballate, Lieder.
A causa delle sue origini dopo l’avvento del nazismo lavorò soprattutto in Cecoslovacchia. Nel 1939 decise di diventare comunista e richiese la cittadinanza sovietica.
Nel 1941 la Cecoslovacchia fu invasa dalle truppe naziste e Schulhoff fece domanda per trasferirsi in Unione Sovietica approfittando del patto Molotov-Ribbentrop che lo tutelava in quanto cittadino sovietico, tuttavia in seguito la Germania invase anche la Russia e Schulhoff, ancora in attesa del documento d’espatrio fu arrestato ed internato nel lager di Weißenburg in Baviera, ed ivi morì l’anno dopo, malato di tisi, nell’agosto del 1942.
Dal punto di vista musicale, il suo stile dimostra una grande apertura ai fermenti artistici dell’epoca. Ciò spiega la sua adesione al movimento dadaista, all’indomani della fine del primo conflitto mondiale, la passione per la musica popolare americana e l’interessamento verso i brani pianistici di Schönberg, Webern, Berg, Hindemith e quelli del ceco Alois Haba, basati sulla microtonalità.
Schulhoff ebbe, poi, un occhio di riguardo per la radio, creando diverse composizioni atte a sfruttare appieno le sonorità di un mezzo allora in forte espansione.
Nel 1921 Alban Berg notò come Olin Downes avesse elogiato l’esecuzione a Salisburgo dei Cinque pezzi per quartetto d’archi di Schulhoff e allo stesso tempo notasse stupefatto che dopo la performance Schulhoff andò a suonare del ragtime americano al pianoforte in una locanda locale “finquando le pareti non cominciarono a barcollare”.
ENSEMBLE ALRAUNE
Virginia Ceri, violino
Marna Fumarola, violino
Hildegard Kuen, viola
Stefano Zanobini, viola
Augusto Gasbarri, violoncello
Mors et Resurrectio
Mercoledì 3 Giugno ore 21:15 – Oratorio di Sant’Omobono
Ingresso gratuito
“Oh Dio, dammi la forza di sconfiggermi” [L. van Beethoven]
Beethoven: Sonata per violino e pianoforte n. 4 in la minore, op. 23
Presto
Andante scherzoso, più Allegretto (la maggiore)
Allegro molto
Beethoven: Sonata per violino e pianoforte n. 5 in fa maggiore, op. 24 “La Primavera”
Allegro
Adagio molto espressivo (si bemolle maggiore)
Scherzo. Allegro molto
Rondò. Allegro ma non troppo
Opus 23 Sonata in la minore, per pianoforte e violino, op. 23, dedicata al conte Moritz von Fries, 1800-1801, pubblicata a Vienna, Mollo, ottobre 1801. GA. n.
Il manoscritto originale è perduto. Gli abbozzi si trovano nel quaderno Landsberg. Nella edizione sopra indicata questa sonata figurava, insieme con la successiva in fa maggiore (oggi op. 24), in una unica op. 23 intitolata: Deux Sonates pour le Piano-Forte avec un violon, composées et dediées à Monsieur le Comte Maurice de Fries, ecc. La separazione in due diversi numeri d’opera avvenne posteriormente. Il Presto è d’una certa monotona malinconia nell’insistenza del modo minore e delle forme ritmiche, che la vivacità del movimento non riesce a dissipare. Un momento distensivo è dato dalla parte iniziale dello sviluppo, con la melodia in legato del violino sul basso formato dalle prime due battute del tema. Il secondo tempo prelude lontanamente per qualche aspetto all’Allegretto schermando dell’ Ottava Sinfonia, e per certi leggeri intrecci contrappuntistici s’avvicina ai congeneri della Prima Sinfonia e del Quartetto op. 18 n. 4. Fra gli intermezzi dell’Allegro finale (che per il carattere del ritornello ci riporta nell’atmosfera del primo tempo) spicca il terzo costituito da una di quelle larghe figurazioni a tipo corale di cui abbiamo visto già l’introduzione, ad esempio, nei finali del Settimino e della Sonata patetica, e particolarmente vicina per l’ampiezza e lo svolgimento all’episodio corrispondente del finale del Quartetto op. 18 n. 5 ; ripetuta poi anche in forma abbreviata nella coda. Lo Schering trova l’ispirazione di quest’opera in alcuni episodi di Ervino ed Elniira di Goethe (prima redazione del 1775 in forma di dramma con canto e parti dialogate): Primo tempo: Elmira è triste perché a causa del suo freddo contegno l’amato Ervino l’ha lasciata andando in paese straniero. Il vecchio familiare Bernardo, parlandole di Ervino, suscita in lei desideri e rimpianti — Secondo tempo: La canzone della violetta: Ein Veiìchen auf der Wiese stand — Terzo tempo. Ervino in paese lontano, lavorando nel suo giardino e contemplando una pianta di rose appassite, ripensa nostalgicamente all’amata.
Opus 24 Sonata in fa maggiore per pianoforte e violino, op. 24, dedicata al conte Moritz von Fries, 1800-1801, pubblicata a Vienna, Mollo, ottobre 1801. GA. n.
Il manoscritto originale dei primi tre tempi si trova nella National Bibliothek di Vienna, gli abbozzi nel quaderno Landsberg. La Sonata, incominciata e finita poco dopo la precedente, fu in origine, come si è detto, pubblicata insieme con essa in unico numero d’opera e con unica dedica. Ebbe subito, e mantiene ancora oggi, una notorietà maggiore. La denominazione — non originale — di Sonata della primavera le deriva forse dalla quieta dolcezza del primo tema dell’ Allegro iniziale e dall’ascesa di luce che se ne libera ad un tratto con il passaggio al secondo tema : elemento questo — contrariamente alla prassi più comune — di primaria importanza, formale ed espressiva, in tutto lo sviluppo. L’Adagio è una pura pagina contemplativa di melodia accompagnata, che può avvicinarsi, per qualche rispetto, alla corrispondente della Quarta Sinfonia. Nello Schermo domina l’animazione di una figura ritmica che Beethoven riprenderà ed amplierà, molti anni dopo, nel secondo tempo del Trio in si bemolle maggiore op. 97. Il Rondò finale — che ricorda, per lo spunto del ritornello, una frase dell’aria Non più di fiori della mozartiana Clemenza di Tito — ha un andamento di piacevole noncuranza, a cui gli intermezzi danno di volta in volta un carattere più impegnativo. Anche di questa Sonata lo Schering trova il motivo determinante in un altro dramma cantato-recitato di Goethe del 1776 : Claudina di Villabella, di cui Beethoven aveva già musicato un’aria (n. 28b). Primo tempo, coro di omaggio di contadini che portano a Claudina doni e fiori — Secondo tempo. Claudina contempla il mazzo di fiori che le ha dato Pedro, e che vale per lei più di tutti gli altri doni — Terzo tempo: duetto scherzoso fra Claudina e Pedro — Quarto tempo : canto delle due contadine Camilla e Sibilla che si avvicinano, loro incontro con Claudina, cortese commiato; le contadine, rimaste sole, canzonano gli atteggiamenti e le parole di Claudina e ne dicono male. Affettuoso addio di Claudina e Pedro, messo in canzonatura egualmente dalle due contadine.
Don Maurizio Tagliaferri Violino
Don Carlo Josè Seno Pianoforte